Intervista a Paolo Panontin
I Comuni hanno tempo fino al 18 aprile per presentare le proprie richieste relative alla riforma degli enti locali; una riforma che, secondo l’assessore regionale alle Autonomie locali, Paolo Panontin, come indica in quest’intervista, darà molto spazio all’ICT e non solo.

Ci sono poco meno di 60 giorni per presentare le richieste di modifica, quali sono le modalità che gli enti locali hanno per sottoporre le istanze?
La L.R. 26/2014 prevede che i 60 giorni di tempo che i Comuni hanno per esprimersi partano dal momento della pubblicazione nel Bollettino Ufficiale della Regione della delibera di Giunta Regionale con la quale è stata adottata la proposta di Piano di Riordino Territoriale. Considerando che la delibera in questione, la n. 180 del 4 febbraio, è stata pubblicata il 18 febbraio, significa che c’è tempo fino al 18 aprile per presentare le proprie richieste. A tal proposito, va ricordato che le richieste vanno adottate con delibera del Consiglio Comunale e che possono essere di due tipi: il primo riguarda i Comuni che desiderano avanzare la richiesta di passaggio a un’altra Unione Territoriale Intercomunale, purché contermine, e tale previsione può riguardare anche i Comuni con essi confinanti. Il secondo caso, invece, riguarda quei Comuni che scelgono di non entrare a far parte di nessuna Unione. Si tratta di Comuni con popolazione superiore a 5.000 abitanti (o 3.000 nel caso di Comuni appartenenti o appartenuti alle Comunità Montane). Nel caso di mancata adesione a un’Unione, però, questi Comuni saranno tenuti a fornire una relazione, entro i successivi venti giorni, nella quale dovranno dimostrare di essere in grado di sostenere in forma autonoma le funzioni che altrimenti andrebbero gestite tramite l’Unione in forma associata. Ogni altro atto adottato dai Consigli Comunali in questi 60 giorni, che non rientra nei due casi citati, ha puro valore politico.
Quali sono le implicazioni della riforma con l'ICT anche visto la spinta ad aggregarsi fra comuni più piccoli e la necessaria messa in rete di servizi?
Come esplicitato nell’art. 23 della legge, l’ICT ricoprirà un ruolo centrale nel progetto di condivisione intercomunale delle funzioni e dei servizi, data la rapidità e l’economicità che si possono ottenere gestendoli in via telematica. Basti pensare allo Sportello Unico per le Attività Produttive (SUAP), una delle funzioni che verranno svolte in forma associata già dal 1° gennaio, che, avvalendosi di piattaforme digitali, permette di snellire notevolmente le procedure e i tempi di attesa per l’espletamento delle pratiche. Lo stesso vale per le pratiche edilizie. Ancora, informazioni legate ad esempio all’urbanistica (catasto, piano regolatore, ecc.), saranno accessibili online, a chiaro vantaggio del cittadino. Un altro settore nel quale l’ICT dovrà necessariamente farla da padrone, per la buona riuscita del processo di riforma, è quello legato ai servizi finanziari: è arrivato il momento di riuscire a mettere in rete le informazioni legate ai tributi, al loro calcolo, alla riscossione, alla verifica della condizione tributaria del singolo cittadino, attraverso l’incrocio tra le varie banche dati già a disposizione. L’ICT, dunque, sarà uno strumento essenziale per la semplificazione delle procedure, sia per le amministrazioni, che per i cittadini e le imprese.
Per qualcuno la riforma svilisce i comuni, fa perdere identità…
I Comuni manterranno le loro identità, nessuno si troverà a essere svilito da questa riforma e i cittadini potranno continuare a scegliersi i loro rappresentanti a pieno titolo, come da sempre fanno con le elezioni comunali. Quello che cambierà sarà il modo in cui verranno prese le decisioni in quei settori della vita amministrativa che hanno un respiro di area vasta o comunque sovracomunale: pensiamo, ad esempio, all’attività della Polizia Locale. Gli amministratori, i Sindaci in particolare, si troveranno a collaborare e a fare assieme delle scelte che ricadranno su un territorio ampio, non più limitato al proprio Comune. In alcune zone della Regione questo modo di fare amministrazione è già operativo da anni e ha dato i suoi frutti, in altre no, ed è arrivato il momento di rendere più omogeneo il territorio regionale, guardando ai diritti e alla qualità della vita dei cittadini, più che ai campanilismi. Abbiamo scelto di impostare la riforma sull’Unione (una via di mezzo tra la convenzione e la fusione) proprio perché riteniamo che sia uno strumento efficace ed efficiente per offrire in forma associata i servizi di prossimità, garantendo al tempo stesso l’autonomia decisionale dei singoli Comuni su molte e decisive funzioni comunali. Prendiamo, ad esempio, la determinazione dei tributi: continueranno ad essere fissati dai singoli Consigli Comunali, ma verranno riscossi avvalendosi degli uffici dell’Unione, ottimizzando risorse, umane ed economiche, e riducendo le inefficienze.
Le Uti, secondo alcuni, allargano le disuguaglianze fra Trieste e Udine…
Il dibattito è acceso in tutto il Friuli Venezia Giulia, basta sfogliare i giornali delle ultime settimane per rendersi conto che il timore del cambiamento attraversa tutti i territori: Pordenone teme di essere schiacciata da Udine, Gorizia sospetta ridimensionamenti, Udine si preoccupa di Trieste e viceversa. Lo prendo come il segno che evidentemente la riforma contiene elementi di vera rottura con il passato e che non favorisce nessun territorio a priori. Attenzione però a pensare che il nuovo assetto istituzionale possa aumentare le disuguaglianze territoriali, al contrario uno degli scopi della riforma è proprio quello di ridurle. Se mettiamo al centro della nostra visione il cittadino, ci accorgiamo che oggi il diritto di godere di uniformi, accessibili, sostenibili livelli essenziali delle prestazioni non è garantito. Dobbiamo fare in modo che il principio di uguaglianza sia rispettato e quindi non ci siano disparità di trattamento o di qualità dei servizi tra chi abita a Dogna, a Trieste, a Vivaro o a Monfalcone.
Inoltre, alcuni preferiscono dimenticare che la riforma degli enti locali è strettamente collegata ad altre “subriforme” che vedranno la luce nei mesi a venire, a cominciare da quella della finanza locale, finalizzata anche a rendere i trasferimenti regionali più omogenei e a rimuovere dislivelli e penalizzazioni che la nostra Regione si trascina storicamente da molto tempo.
Un consiglio: smettiamola di ragionare solo in termini di rapporti di forza tra territori, facendo a gara a chi è più forte o più grande. Come ho avuto occasione di dire più volte di recente, usiamo le nostre energie e competenze per sviluppare concretamente dei progetti di sviluppo del territorio e non solo per giocare a costruire creative forme di ingegneria istituzionale.
Quali sono i vantaggi e le finalità della riforma?
Il programma di mandato della Presidente Serracchiani contiene la volontà di procedere a una riforma dell’assetto istituzionale del Friuli Venezia Giulia, partendo dalla convinzione che anche gli Enti Locali debbano mettersi al passo coi tempi. In una società che negli ultimi decenni ha subìto trasformazioni profonde, sul piano sociale, economico, culturale, tecnologico, è indispensabile rispondere ai cittadini con rapidità ed efficacia. Per questo con la proposta di modifica dello Statuto regionale abbiamo avviato il processo di eliminazione di un intero livello di governo, costituito dalle Province, allo scopo di arrivare a una governance del territorio imperniata su Comuni e Regione. Riteniamo che questa sia la soluzione più efficace per garantire non solo e non tanto una riduzione dei costi della politica, quanto una semplificazione istituzionale, che si accompagnerà a una riduzione della spesa delle amministrazioni comunali. Infatti, i ben 216 Comuni del Friuli Venezia Giulia incontrano sempre più spesso forti difficoltà nell’offrire servizi adeguati ai loro cittadini, per mancanza di strutture, personale o know how e questo fa sì che la loro spesa corrente aumenti sensibilmente. Attraverso le unioni intercomunali, invece, diventa possibile condividere gli strumenti e i servizi necessari, conseguendo risparmi dalle economie di scala e, al contempo, facendo circolare le buone prassi e le professionalità all’interno di un territorio omogeneo per condizione sociale, economica, geografica, culturale. Prendendo gli esempi migliori nel nostro Paese di Unioni di Comuni, abbiamo ritenuto di emulare il modello della Bassa Romagna o dell’associazione del Camposampierese (PD), dove la riduzione della spesa è stata assai significativa, dato che nel 2011, secondo dati ISTAT, mentre la media nazionale della spesa pro capite di un Comune era di 910 euro, in FVG ammontava a 1.152, mentre nell’Unione dei Comuni della Bassa Romagna raggiungeva appena i 663 euro.